Questa logica del nemico interno e del capro espiatorio caratterizzava parecchie ideologie politiche e spingeva a “trovare qualcosa in quell’uomo” anche quando questi aveva poco o niente da nascondere. Sta di fatto che un copioso gruppo di agenti si occupava dello spionaggio, del controspionaggio e della sicurezza interna con metodi e modalità poco chiare. Su questo sfondo, il titolo del film, scritto e diretto da Florian Henckel von Donnersmarck, non potrebbe essere più indicativo: Le vite degli altri. Chi sono “gli altri”? La DDR considerava “altri” tutti coloro che non si attenevano alle regole del “regime”, i cosiddetti “nemici del socialismo” – aspetto magistralmente sottolineato nella pellicola.
Il film è ambientato nel decennio ‘80-’90 del XX secolo e narra la vicenda di un artista di teatro, George Dreyman, che, incolpato di non essere troppo in linea con il regime socialista, viene spiato segretamente da un funzionario della Stasi, Gerd Wiesler. Durante lo svolgimento dei fatti vengono messi in risalto soprattutto i meccanismi con i quali il potente Servizio segreto tedesco controlla i nemici, infliggendo loro pressioni invasive e utilizzando spie ben stipendiate pur di preservare l’incolumità della nazione. Nel film è presente, da un lato, tutta l’insoddisfazione di coloro che si sentivano troppo oppressi dal regime, e dall’altro, quella degli intellettuali che non potevano dare vita alle loro creazioni letterarie. Non è un caso che nella DDR, per un lungo periodo, si siano verificati numerosi suicidi, molti dei quali ingiustificati: secondo alcuni, tali suicidi sarebbero il risultato di questa forte oppressione sociale.
Tuttavia, il rapporto tra potere e segreto gradualmente si affievolisce: se all’inizio del film l’istruttore della Stasi (Wiesler) è un personaggio severo e dal rigido addestramento militare, alla fine invece comincia a cambiare idea riguardo al Partito socialista, depistando le indagini e favorendo in qualche modo l’artista (Dreyman). Wiesler sembra così tanto immedesimarsi nella vita di Dreyman da riconoscere allo stesso tempo anche il declino dell’autoritarismo politico tedesco.
L’intento del regista è quello di raccontare la realtà tedesca, una realtà storicamente martoriata, quasi asfissiata, da una politica rigida e severa che imponeva da parte del governo, o meglio del partito, un serrato controllo sulla vita dei cittadini. Per dirla con Michel Foucault, il film rappresenta l’esercizio del meccanismo di potere/sapere del governo sul corpo sociale. Un potere/sapere che sarebbe troppo facile ignorare se si ignorasse la Storia, ma che la storia questo film ha il merito di non farci dimenticare. Con questa doppia ricostruzione narrativa, Le vite degli altri consente e favorisce un’analisi socio-politica decisamente contemporanea.