In Juan si concretizza un Dr. Jeckyll e un Mr. Hide: la parte peggiore viene fuori non appena perde la moglie e si trasforma, anche lui, in un assassino.
Monzon non fa altro che mostrarci questa lotta continua che il protagonista in tutta solitudine combatte contro i detenuti, contro il Sistema e alla fine contro se stesso.
Interessante è la figura di Malamadre, dichiarato leader dei detenuti. Tra lui e il protagonista nasce una specie di amicizia che diventa alla fine del film sempre più profonda e che li vede insieme contrapposti a un unico nemico comune: il Sistema carcerario.
Il regista, a questo punto, evita in maniera disincantata di affibbiare colpe o responsabilità limitandosi a mostrarci in silenzio cosa significa perdere un'idea, perdere qualcuno e alla fine perdere se stessi; cosa si è capaci di fare quando con le spalle al muro non si ha più niente da perdere.
Cella 211 è il titolo del film, ma è anche il simbolo, per Juan, di una sorta di purgatorio, di una possibile redenzione attraverso il suicidio.
Film per niente scontato che rifila alla spettatore una vera e propria bastonata nelle battute finali. Monzon, probabilmente, vuole mostrarci come sia strano e a volte quasi scorretto il corso della giustizia.